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Inviato da Claude Beaunis il 09/09/16 – 11:40
A CINQUANT’ANNI DALLA SCOMPARSA DI FREINET
              UN’ETERNA GHIRLANDA BRILLANTE
( citando un noto libro di P. Hõfstatter, ‘Gὅdel Escher Bach’)
 
C. Freinet ha attraversato due guerre mondiali: in una ha riportato una ferita al polmone, nell’altra è stato imprigionato in un campo di concentramento della repubblica di Vichy.
Ha altresì combattuto nella sua situazione scolastica, subendone le conseguenze, il pregiudizio, l’ottusità, la reazione che mal sopportava un insegnamento che voleva portare  tutti i bambini di un paese allo stesso livello con gli stessi diritti e le stesse opportunità di riuscita scolastica.
Ha visto arrivare nella sua scuola i figli dei repubblicani spagnoli.
La pace per lui rappresenta l’opportunità di una elevazione culturale, morale, civile per tutti.
Ha quindi denunciato il ‘grande inganno’ che ha portato milioni di individui analfabeti o scarsamente scolarizzati a combattersi e uccidersi  per dei falsi ideali.
La disinformazione, l’analisi critica dei manuali scolastici, dei messaggi dei media, la ricerca come strumento politico per l’emancipazione del giudizio, sono per lui il fondamento di un’educazione autenticamente democratica e di pace, per la pace.
La formazione alla pace  si  realizza  se agli individui fin da piccoli è possibile praticare la libera espressione del proprio pensiero, si dà possibilità di scelta e decisione autonome, si lavora alla liberazione dai molti condizionamenti, si promuove a scuola un’apertura alla partecipazione, all’azione collettiva, alla cooperazione, all’aiuto reciproco.
Se non si sovrappone alle differenze  e alle strategie personali uno schema di insegnamento unico e unimodale; se si dà tempo per costruire/costruirsi/costruire insieme. La guerra, diceva il compianto Sergio Neri, richiede fretta, rapidità, immediatezza; come la pace, l’educazione  è lenta, lunga a diffondersi, a produrre cambiamenti di atteggiamenti, di mentalità, di schemi di riferimento.
Quella di Freinet  è una pedagogia di atti, di fatti, di strumenti concreti, ‘materialista’, come lui la definisce. Ma il progetto di crescita e sviluppo che ne emerge è altamente spirituale: ciascuno deve poter scegliere la propria vita e non  vi sono livelli e fasi di vita inferiori o superiori su cui far reggere l’impalcatura sociale ( cfr. le invarianti).
Oggi si punta molto sul merito, i talenti, le eccellenze. Si ha fretta di far emergere delle competenze personali nei più dotati con effetti che si vorrebbero ( a parole) ‘salvifici’ per una società in crisi  in preda a smarrimento  e compulsione. Ma la faticosa opera di far emergere in ciascuno le proprie propensioni, i propri punti di riferimento ( cfr. il metodo naturale), non lasciando indietro nessuno, è ciò che la scuola deve in primis garantire.
E questo chiama di necessità in causa l’atteggiamento politico, le scelte che l’insegnante non può non affrontare, non prendere in considerazione nel suo profilo professionale. Senza un orizzonte etico e politico insieme non si dà autentica educazione, non è educatore- qui la consonanza con d. Milani, con Freire, con Dewey, con Korczàck, con tutti gli educatori che nel secolo breve hanno pagato spesso di persona è rilevante- chi non ‘sente’ la valenza politica del proprio intervento. E non la condivide con altri, non la reclama ad altri. Le battaglie sindacali, politiche, culturali, pedagogiche di Freinet ne sono state e sono testimonianza.
Dopo Freinet non si riesce a pensare organicamente all’educazione se non in termini di una risposta  unitaria, organica, coerente ai bisogni educativi, quindi di impegno pedagogico e culturale, e specularmente in termini di ricerca di qualificazione dell’offerta educativa come impegno politico.
Giancarlo Cavinato segretario nazionale MCE