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Soumis par Luis Ricardo le 30/03/15 – 11:21

La médicalisation de l'éducation toujours plus accelerée quitte à l'école la compétence pédagogique.

 

LE ATTIVITA’ DI IDENTIFICAZIONE PRECOCE DEI CASI SOSPETTI DI DSA (DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO)
 
Riteniamo che la pretesa di predisporre  una diagnosi precoce di tutte le difficoltà di apprendimento, allo scopo di rilevare “disturbi” da trattare poi con interventi specifici, rischia di delegare a soggetti esterni alla scuola il problema delle difficoltà di apprendimento. Disconoscendo così  l’importanza del lavoro pedagogico-educativo che, favorendo l’interazione e la cooperazione tra pari in un ambiente stimolante, permette lo sviluppo di ciascuno/a e riesce solitamente  a prevenire l’insorgere di difficoltà o a creare le condizioni per superarle.
 
La tendenza precoce alla diagnostica deresponsabilizza la scuola. Purtroppo trova spesso consenso in una scuola con scarse  risorse (in termini di spazi, tempi, materiali, possibilità di lavorare con gruppi non troppo numerosi, insegnanti formati), senza un pensiero educativo forte. La scuola dovrebbe, invece,  avere risorse adeguate  per intervenire pedagogicamente e stimolare apprendimenti attivi e cooperativi,  senza dover delegare ai “tecnici” i rimedi  alle situazioni di difficoltà.
La scuola può fare molto per prevenire le difficoltà di apprendimento proponendo attività che stimolino alcune funzioni di base: percezione, memoria, attenzione, discriminazione, scoperta di relazioni, acquisizione dei concetti legati a spazio e tempo, capacità di rappresentazione, simbolizzazione, linguaggio parlato, narrazione, e costruendo contesti in cui siano favoriti il confronto tra pari e la cooperazione, in cui sia attivato l’atteggiamento di ricerca e sia sostenuta la motivazione.
 
La diagnosi precoce, invece, porta spesso a interventi individuali attuati nell’ambito di una indebita “medicalizzazione” . Interventi di solito poco efficaci, poiché non sono in grado di intervenire efficacemente sul miglioramento delle capacità comunicative e di concettualizzazione, che si consolidano nel contesto sociale e in situazione reale.
 
Insieme all’aumento delle certificazioni fioriscono, a livello sia pubblico che privato, strutture deputate al recupero dei “disturbi”. Difficile non pensare a un abuso di certificazioni funzionale a questa situazione.
 
Il despistage previsto dal documento inizia a tre anni, quando le acquisizione sono fluide, in continuo sviluppo, legate alla qualità del contesto comunicativo familiare e scolastico su cui si dovrebbe, invece,  intervenire. Un depistage così precoce crea spesso ansia e disorientamento nelle famiglie, ingenera timori e dubbi che non contribuiscono certo a rendere più serena la relazione genitore-figlio e la comunicazione tra i genitori e la scuola. L’ansia da prestazione, riferita ai risultati scolastici dei figli, sempre deleteria, non dovrebbe iniziare già a tre anni!
 
Il documento parla di “soggetti ‘resistenti’ all’intervento didattico”: possiamo obiettare che la risposta dei bambini/e alle proposte didattiche dipende soprattutto dalla qualità della proposta: ossia dalla  sua capacità di adeguarsi allo stile di apprendimento dell’alunno e dalla motivazione che la scuola ha saputo suscitare. Spesso manca la capacità di rispondere adeguatamente alle esigenze di individui diversi che  usano canali diversi, modi e strategie personali.
 
Per quanto riguarda il tema fondamentale dell’apprendimento della lettura e della scrittura vengono citate forse non del tutto a proposito Ferreiro e Teberoski: le ricercatrici svolgono una ricerca tesa a dimostrare che l’apprendimento della letto-scrittura avviene per ciascuno/a in tempi diversi e con percorsi personali, pur riconoscendo che alcune fasi specifiche  sono presenti nella maggioranza dei bambini/e.  Il documento cita tout-court l’uso o meno di “diversi segni grafici” come una discriminante che può indicare la presenza di un “disturbo” dell’apprendimento e parla di“fase preconvenzionale della scrittura del modello Ferreiro-Teberoskij” ignorando il fatto che le ricercatrici non hanno mai preteso di proporre un “modello”.
 
La compilazione delle griglie comporta per gli insegnanti un carico di lavoro notevole (pagine e pagine di moduli), sottratto alla didattica. Essi sono costretti a uscire dal loro ruolo di formatori culturali per svolgere un servizio “prepsichiatrico” che non compete loro.
L’uso di griglie di osservazione, inoltre, non dà l’immagine del bambini/a nella sua interezza, induce a frammentare, a non vedere i collegamenti, ad affidarsi a meccanismi stimolo-risposta.
 
Sarebbe auspicabile che le risorse impiegate per diagnosi, depistaggi e interventi specialistici individuali fossero impiegate per migliorare la qualità della scuola e per sostenere la genitorialità: tutto ciò permetterebbe di prevenire e affrontare adeguatamente sul piano pedagogico gran parte delle  difficoltà dell’apprendimento.
                                                                              Nerina Vretenar